Preghiera e Liturgia

Commemorazione dei Defunti 2019

CommDefuntiMessa da morto?
«Requiem aeternam dona eis, Domine».


In questo giorno della Commemorazione dei Fedeli Defunti, la nostra riflessione ci farà andare molto indietro nel tempo, nella storia della Chiesa e della Liturgia, Vorrei recuperare alcuni simboli molto antichi, usati per secoli nella Chiesa Cattolica. La Messa per i Defunti ha cambiato radicalmente tono negli ultimi 50 anni, cioè dopo la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II. Prima si chiamava «Messa da morto», ora invece si chiama «Messa esequiale». Questa parola deriva dalla lingua latina «exequialis» che significa sempre rito funebre. Certo che dire «Messa da morto», mi fa vedere subito la cosa; e dire invece «Messa esequiale» non me la fa vedere, ci devo pensare su un momento. La morte è una cosa tremendamente seria, la più seria di tutte le cose che possono capitare all’uomo; perché l’uomo che fa quel passaggio ha finito di essere uomo sulla terra, e questa è una perdita, su cui non si piangerà mai abbastanza. Credo che la vecchia Messa da morto faceva sentire quel dramma tremendo.

I paramenti neri:
«con ricami argentati e dorati... segno della vita».

I canti:
«Requiem aeternam... Dies irae, dies illa...Libera me Domine...».

Il catafalco:
«Absolutio super tumulum - Assoluzione sopra il tumulo».
 
Il primo segno: «i paramenti neri» che a prima vista ci danno tristezza e infondono in noi la paura della morte. Il colore nero era usato per i funerali e per le Messe dei Defunti fino al Concilio.
La Costituzione «Sacrosantum Concilium» del 1963, così recita: «Il rito delle esequie esprima l’indole pasquale della morte cristiana e risponda meglio, anche quanto al colore liturgico, alle tradizioni delle singole regioni» SC 81. Nemmeno 20 anni prima, nel 1947, Pio XII condannava coloro che volevano abbandonare il colore liturgico nero! Prima il colore era nero, adesso è viola, perché forse il nero poteva disturbare la sensibilità dell’uomo moderno. Comunque anche i paramenti di colore nero hanno dei ricami di colore oro o argento, cioè colori che richiamano la vita.

Quell’invocazione poi che si ripeteva lungo tutta la Messa: «Requiem aeternam dona eis, Domine» era grandiosa; era una invocazione a Dio nella grandiosa maestà dalla lingua sacra, era l’invocazione a Dio di placare la tempesta, e riempiva e scrollava la volta della chiesa e dava un brivido a quelli che provvisoriamente restavano sulla sponda di qua. Fino a qualche anno fa si cantava «L’eterno riposo», ora messo un po’ in pensione, anche da me…perché sembra un canto troppo triste… La Messa di oggi è fatta quasi tutta di Salmi; i Salmi sono poesia, grandi blocchi monumentali di poesia… ma rendono il dramma della morte umana? Forse i canti in latino non si capivano certo del tutto… ma il giorno che un uomo pregante capirà tutto quello che sta dicendo, potrà smettere di pregare; la preghiera è dialogo con le cose invisibili e inconoscibili, cioè con il mistero; e se il pregante riesce a sapere che cosa c’è dentro il mistero, può smettere di pregare. La religione è al di là di tutte le spiegazioni, è fuori di tutte le prove scientifiche; non si può sperimentare, misurare.

Dalla Messa da morto hanno tolto il «Dies irae».
Quando nella Chiesa scoppiava quel canto «Dies irae, dies illa. Solvet saeculum in favilla – Giorno d’ira sarà quel giorno, quando il mondo diventerà cenere». L’alto squillo di tromba passerà ovunque sulle tombe e raccoglierà tutti dinnanzi al trono… Prostrato a terra, come colpevole, invoco pietà! Quel canto faceva un rimbombo immenso dentro l’uomo che ascoltava, credente o non credente perchè la morte riguarda tutti. Nessuno può cancellare dentro l’uomo una religione, se non cancella il dolore e la morte. Quel canto tremendo lo metteva con la faccia dentro la faccia della morte; e allora lui cercava disperatamente la faccia di Dio; la faccia di quello che non muore. E il «Libera me Domine», il «Libera» che anch’esso doveva essere cantato in latino; perché solo così l’uomo può dire a Dio la sua disperazione; dirgli che lo liberi dalla morte, «Libera me, Domine, de morte aeterna»… quando verrai a giudicare il mondo col fuoco…». La «Messa da morto» era qui, in questi canti terribili; quando si celebrava in una chiesa di paese, quella chiesa diventava immensa, una grande cattedrale. Poi l’uomo vivo usciva a testa bassa dalla chiesa dietro il morto, perché quei canti continuavano a rimbombargli dentro, come quando il cielo è pieno di folgori e tuoni.

Infine l’ultimo simbolo della Chiesa di sempre: nel giorno della Commemorazione di tutti i Fedeli Defunti, nonché in tutte le Messe da Requiem pubbliche e cantate, la tradizione latina prevede lo svolgimento della suggestiva cerimonia dell'«Absolutio super tumulum - Assoluzione sopra il tumulo». Questo rito di antichissima origine richiama la raccomandazione che si dà al sepolcro durante i funerali, ma che per estensione si pratica anche «absente cadavere», non è una vera e propria assoluzione sacramentale, ancorché abbia assunto questo nome. L'elemento caratteristico per lo svolgimento di questo rito è «il catafalco», posto davanti all'altare, nella navata della Chiesa, sopra cui è eretto il tumulo. La parola, anche se l’etimologia è incerta, deriva da «captare palcum – attirare lo sguardo su un luogo elevato». Si tratta di una struttura in legno, rivestita di tessuto nero damascato e decorato. Tra le decorazioni più comuni vi erano i classici teschi con le tibie incrociate o le clessidre alate, che ricordano lo scorrere inesorabile del tempo. Su questa base era posta la bara e, all'interno della quale, anche se senza salma, poteva esser posto un teschio simbolico. In alto veniva a volte innestata una sfera lignea dorata a forma di colomba con le ali aperte. Il tutto poteva misurare fino a 5 o 6 metri di altezza e 3 o 4 di larghezza: queste dimensioni, che facevano svettare la struttura verso l'alto, sono simbolo della dipartita al cielo dell'anima del defunto. Ai lati del Catafalco si pongono 4 o 6 candelabri, anche 8 o 12 per i Requiem di maggior solennità. In molte chiese vi era la consuetudine di erigere un catafalco alto e solenne per la commemorazione dei morti, e lasciarlo in Chiesa per tutto l'Ottavario. In alcuni luoghi si usava anche ergere un grande leggìo con dei ceri ardenti vicino al tumulo, da cui si cantassero ogni sera, dopo i Vespri del giorno, i Vespri dei Defunti.
Terminata la Messa dei Defunti secondo il formulario prescritto, il sacerdote, accompagnato dal diacono, va a porsi davanti al catafalco, mentre il suddiacono va dietro, reggendo alta la Croce, accompagnata dagli accoliti coi ceri accesi. Intanto il coro inizia a cantare il bellissimo responsorio «Libera me, Domine». Questo canto è tra i più poetici del rito romano, ed ha attirato l’interesse di molti compositori, tra cui ricordiamo Lorenzo Perosi, autore di una versione molto suggestiva. I Sacri Ministri ritornano dunque in silenzio in sagrestia, mentre i fedeli passano a rendere una preghiera al catafalco, pregando perché le anime dei Defunti possano lasciare i tormenti del Purgatorio e raggiungere la felicità celeste.

Sia lodato Gesù Cristo.

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