Ascensione 2019
Il desiderio di cielo, di speranza, di infinito...
«Uomini di Galilea, perchè state a guardare il cielo?».
All'interno del Duomo di Venzone, in Friuli, si trova una scultura di legno, nella quale sono rappresentate un gruppo di persone, giovani, bambini e anziani, che protendono le mani verso il cielo. È una scultura inserita come memoriale nella chiesa ricostruita dopo il terremoto che nel maggio 1976, l'aveva rasa al suolo. Il titolo dell’opera si rifà alle parole dal Salmo 129 «Dal profondo a te grido o Signore» e vuole ricordare la tenacia e la speranza dei friulani dopo il sisma che aveva fatto quasi mille morti e ingentissimi danni. Le figure messe a cerchio, scolpite dentro un grande tronco di cedro, hanno le mani aperte e alte sulla testa sotto la volta del Duomo. L'impressione è quella di voler non solo risorgere dopo essere state atterrate dal sisma, ma anche di voler sostenere il tetto, perché il cielo non crolli di nuovo sopra di loro, distruggendo ancora le case e la vita. La scultura sembra voglia comunicare anche un compito che i friulani si sono dati: quello di non farsi schiacciare ancora, ma di testimoniare anche ad altri la speranza di poter sempre e comunque risorgere. È un invito a tener vivo il desiderio di cielo, di speranza e di infinito che ogni persona porta in sè...
«Uomini di Galilea, perchè state a guardare il cielo?».
All'interno del Duomo di Venzone, in Friuli, si trova una scultura di legno, nella quale sono rappresentate un gruppo di persone, giovani, bambini e anziani, che protendono le mani verso il cielo. È una scultura inserita come memoriale nella chiesa ricostruita dopo il terremoto che nel maggio 1976, l'aveva rasa al suolo. Il titolo dell’opera si rifà alle parole dal Salmo 129 «Dal profondo a te grido o Signore» e vuole ricordare la tenacia e la speranza dei friulani dopo il sisma che aveva fatto quasi mille morti e ingentissimi danni. Le figure messe a cerchio, scolpite dentro un grande tronco di cedro, hanno le mani aperte e alte sulla testa sotto la volta del Duomo. L'impressione è quella di voler non solo risorgere dopo essere state atterrate dal sisma, ma anche di voler sostenere il tetto, perché il cielo non crolli di nuovo sopra di loro, distruggendo ancora le case e la vita. La scultura sembra voglia comunicare anche un compito che i friulani si sono dati: quello di non farsi schiacciare ancora, ma di testimoniare anche ad altri la speranza di poter sempre e comunque risorgere. È un invito a tener vivo il desiderio di cielo, di speranza e di infinito che ogni persona porta in sè...
Ascensione!
A cosa vi fa pensare questa parola? Se lo chiedessimo a un bambino, quasi sicuramente ci direbbe all'ascensore, e non avrebbe tutti i torti, solo che in questo caso l'ascensore, cioè colui che sale, è una persona e non una cosa, è Gesù stesso. L'Ascensione ci fa pensare che Gesù oltre alla morte, ha vinto una forza terrestre che mai nessuno riuscirà mai a vincere: la forza di gravità che ci tiene tutti incollati alla terra. Nessuno, per quanti progressi abbia fatto la scienza, è mai riuscito ad elevarsi da terra e salire al cielo col proprio corpo. Ma nella festa dell'Ascensione, vediamo un'altra cosa che nessuno ha mai vissuto: vediamo cioè il concludersi di una quarta tappa di vita di quaranta giorni sulla terra vissuta da Gesù dopo che era morto, sepolto e risorto. Possiamo quindi riassumere la sua vita in queste quattro tappe: trent'anni di vita nascosta a Nazareth, tre anni di vita pubblica, tre giorni di morte e di risurrezione, e poi infine quaranta giorni di vita nella gloria. E nel giorno in cui è asceso al cielo Gesù dice: «È meglio che io me ne vada perché voi possiate ricevere il dono del Consolatore, lo Spirito Santo, che vi insegnerà ogni cosa». E fu assiso alla destra del Padre, nei cieli.
All'interno del Duomo di Venzone, in Friuli, si trova una singolare scultura di legno, nella quale sono rappresentate un gruppo di persone, giovani, bambini e anziani, che protendono le mani verso il cielo. È una scultura del 1996 di un artista del luogo, Franco Maschio, inserita come memoriale nella chiesa ricostruita dopo il terremoto che nel maggio 1976, l'aveva praticamente rasa al suolo. Il titolo dell’opera si rifà alle parole dal Salmo 129 «Dal profondo a te grido o Signore» e vuole ricordare la tenacia e la speranza dei friulani dopo il sisma che aveva fatto quasi mille morti e ingentissimi danni. Le figure messe a cerchio, scolpite dentro un grande tronco di cedro, hanno le mani aperte e alte sulla testa sotto la volta del Duomo. L'impressione è quella di voler non solo risorgere dopo essere state atterrate dal sisma, ma anche di voler sostenere il tetto, perché il cielo non crolli di nuovo sopra di loro, distruggendo ancora le case e la vita. La scultura sembra voglia comunicare anche un compito che i friulani si sono dati: quello di non farsi schiacciare ancora, ma di testimoniare anche ad altri la speranza di poter sempre e comunque risorgere. È un invito a tener vivo il desiderio di cielo, di speranza e di infinito che ogni persona porta in sè...
Mi è venuta in mente questa emozionante scultura, quando ho letto il doppio racconto della ascensione di Gesù al cielo, che l'evangelista Luca fa alla fine del Vangelo e all'inizio del Libro degli Atti degli Apostoli. Mi sono immaginato gli apostoli mentre vedono Gesù sparire nei cieli, luogo simbolico dell'abitazione di Dio, spazio infinito e eternamente aperto, e con il desiderio che questi cieli non si chiudano su di loro. Me li immagino con le mani aperte e alte, ricche di speranza e di desiderio di non farsi più schiacciare dalla paura e dal sentirsi abbandonati da Dio. Gesù sale in cielo, non per scomparire, ma per diventare eternamente disponibile e per far sì che l'uomo non smetta di sperare anche nelle situazioni più buie e schiaccianti. «Di questo voi siete testimoni» dice Gesù dopo aver riassunto in poche parole la sua missione e il senso della morte in croce. Morte e risurrezione per ogni uomo: è quello che i discepoli possono annunciare a partire dalla loro esperienza e da portare alle persone che incontreranno. Hanno quindi un compito non facile, ma ancora una volta dal cielo, cioè dall'infinito amore di Dio sempre disponibile, scende una potenza che è lo Spirito Santo.
A cosa vi fa pensare questa parola? Se lo chiedessimo a un bambino, quasi sicuramente ci direbbe all'ascensore, e non avrebbe tutti i torti, solo che in questo caso l'ascensore, cioè colui che sale, è una persona e non una cosa, è Gesù stesso. L'Ascensione ci fa pensare che Gesù oltre alla morte, ha vinto una forza terrestre che mai nessuno riuscirà mai a vincere: la forza di gravità che ci tiene tutti incollati alla terra. Nessuno, per quanti progressi abbia fatto la scienza, è mai riuscito ad elevarsi da terra e salire al cielo col proprio corpo. Ma nella festa dell'Ascensione, vediamo un'altra cosa che nessuno ha mai vissuto: vediamo cioè il concludersi di una quarta tappa di vita di quaranta giorni sulla terra vissuta da Gesù dopo che era morto, sepolto e risorto. Possiamo quindi riassumere la sua vita in queste quattro tappe: trent'anni di vita nascosta a Nazareth, tre anni di vita pubblica, tre giorni di morte e di risurrezione, e poi infine quaranta giorni di vita nella gloria. E nel giorno in cui è asceso al cielo Gesù dice: «È meglio che io me ne vada perché voi possiate ricevere il dono del Consolatore, lo Spirito Santo, che vi insegnerà ogni cosa». E fu assiso alla destra del Padre, nei cieli.
All'interno del Duomo di Venzone, in Friuli, si trova una singolare scultura di legno, nella quale sono rappresentate un gruppo di persone, giovani, bambini e anziani, che protendono le mani verso il cielo. È una scultura del 1996 di un artista del luogo, Franco Maschio, inserita come memoriale nella chiesa ricostruita dopo il terremoto che nel maggio 1976, l'aveva praticamente rasa al suolo. Il titolo dell’opera si rifà alle parole dal Salmo 129 «Dal profondo a te grido o Signore» e vuole ricordare la tenacia e la speranza dei friulani dopo il sisma che aveva fatto quasi mille morti e ingentissimi danni. Le figure messe a cerchio, scolpite dentro un grande tronco di cedro, hanno le mani aperte e alte sulla testa sotto la volta del Duomo. L'impressione è quella di voler non solo risorgere dopo essere state atterrate dal sisma, ma anche di voler sostenere il tetto, perché il cielo non crolli di nuovo sopra di loro, distruggendo ancora le case e la vita. La scultura sembra voglia comunicare anche un compito che i friulani si sono dati: quello di non farsi schiacciare ancora, ma di testimoniare anche ad altri la speranza di poter sempre e comunque risorgere. È un invito a tener vivo il desiderio di cielo, di speranza e di infinito che ogni persona porta in sè...
Mi è venuta in mente questa emozionante scultura, quando ho letto il doppio racconto della ascensione di Gesù al cielo, che l'evangelista Luca fa alla fine del Vangelo e all'inizio del Libro degli Atti degli Apostoli. Mi sono immaginato gli apostoli mentre vedono Gesù sparire nei cieli, luogo simbolico dell'abitazione di Dio, spazio infinito e eternamente aperto, e con il desiderio che questi cieli non si chiudano su di loro. Me li immagino con le mani aperte e alte, ricche di speranza e di desiderio di non farsi più schiacciare dalla paura e dal sentirsi abbandonati da Dio. Gesù sale in cielo, non per scomparire, ma per diventare eternamente disponibile e per far sì che l'uomo non smetta di sperare anche nelle situazioni più buie e schiaccianti. «Di questo voi siete testimoni» dice Gesù dopo aver riassunto in poche parole la sua missione e il senso della morte in croce. Morte e risurrezione per ogni uomo: è quello che i discepoli possono annunciare a partire dalla loro esperienza e da portare alle persone che incontreranno. Hanno quindi un compito non facile, ma ancora una volta dal cielo, cioè dall'infinito amore di Dio sempre disponibile, scende una potenza che è lo Spirito Santo.
Gli apostoli, come nella scultura di Venzone, aprono le mani e il cuore a questo dono dall'alto, sentendo il cielo non minaccioso o inaccessibile, ma come casa di Dio e casa dell'uomo. Questo primo gruppo di discepoli, che iniziano a costruire la Chiesa, sanno che hanno il compito non sempre facile di tenere aperto il passaggio tra l'uomo e Dio, con l'esempio e secondo l'insegnamento di Gesù.
Gesù che sale in cielo ci insegna che lui è sopra tutto. È sopra la nostra schiena piegata nei momenti di fatica e sfiducia. È sopra le nostre piccolezze e chiusure invitandoci a ampliare l'attenzione verso gli altri. Gesù è sopra ogni cosa e sopra ogni realtà umana, e ci invita ad alzare le mani, la mente, lo sguardo e il cuore. Anche San Paolo pensando a Gesù che sale in cielo scrive ai cristiani di Colossi: «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» Col 3,1. Ma com'è il Paradiso?
In un monastero medioevale vivevano due monaci legati tra loro da profonda amicizia. Uno si chiamava Rufo e l'altro Rufino. In tutte le ore libere non facevano che cercare di immaginare e descrivere come sarebbe stata la vita eterna nella Gerusalemme celeste. Rufo che era un capomastro se l'immaginava come una città con porte d'oro, tempestata di pietre preziose; Rufino che era organista, la immaginava risonante di celesti melodie. Alla fine fecero un patto: quello di loro che sarebbe morto per primo sarebbe tornato la notte successiva, per assicurare l'amico che le cose stavano proprio come le avevano immaginate. Sarebbe bastata una parola: se era come avevano pensato avrebbe detto: taliter - tale e quale; se era diversa avrebbe detto: aliter - diversa. Una sera, mentre era all'organo il cuore di Rufino si fermò. Rufo attese per mesi e finalmente, nell'anniversario della morte, ecco che in un alone di luce entra nella sua cella Rufino. Vedendo che tace, è lui a chiedergli, sicuro della risposta affermativa: «Taliter? È così, vero?». Ma l'amico scuote il capo in segno negativo. Disperato, grida allora: «Aliter? È diverso?». Di nuovo un segno negativo del capo. E finalmente dalle labbra chiuse dell'amico escono, come in un soffio, due parole: «Totaliter aliter: è tutta un'altra cosa!». Rufo capisce in un lampo che il cielo è infinitamente di più di quello che avevano immaginato, è una cosa che non si può descrivere! E la leggenda racconta che di lì a poco muore anche lui, per il desiderio di raggiungere il cielo.
Un giorno, quando varcheremo le soglie della vita eterna, verranno spontanee alle labbra anche a noi quelle due parole: «Totaliter aliter! È tutta un'altra cosa!».
Lo auguro di cuore a me e a tutti voi.
Sia lodato Gesù Cristo.
In un monastero medioevale vivevano due monaci legati tra loro da profonda amicizia. Uno si chiamava Rufo e l'altro Rufino. In tutte le ore libere non facevano che cercare di immaginare e descrivere come sarebbe stata la vita eterna nella Gerusalemme celeste. Rufo che era un capomastro se l'immaginava come una città con porte d'oro, tempestata di pietre preziose; Rufino che era organista, la immaginava risonante di celesti melodie. Alla fine fecero un patto: quello di loro che sarebbe morto per primo sarebbe tornato la notte successiva, per assicurare l'amico che le cose stavano proprio come le avevano immaginate. Sarebbe bastata una parola: se era come avevano pensato avrebbe detto: taliter - tale e quale; se era diversa avrebbe detto: aliter - diversa. Una sera, mentre era all'organo il cuore di Rufino si fermò. Rufo attese per mesi e finalmente, nell'anniversario della morte, ecco che in un alone di luce entra nella sua cella Rufino. Vedendo che tace, è lui a chiedergli, sicuro della risposta affermativa: «Taliter? È così, vero?». Ma l'amico scuote il capo in segno negativo. Disperato, grida allora: «Aliter? È diverso?». Di nuovo un segno negativo del capo. E finalmente dalle labbra chiuse dell'amico escono, come in un soffio, due parole: «Totaliter aliter: è tutta un'altra cosa!». Rufo capisce in un lampo che il cielo è infinitamente di più di quello che avevano immaginato, è una cosa che non si può descrivere! E la leggenda racconta che di lì a poco muore anche lui, per il desiderio di raggiungere il cielo.
Un giorno, quando varcheremo le soglie della vita eterna, verranno spontanee alle labbra anche a noi quelle due parole: «Totaliter aliter! È tutta un'altra cosa!».
Lo auguro di cuore a me e a tutti voi.
Sia lodato Gesù Cristo.