Preghiera e Liturgia

3 Domenica di Avvento 2018

3Avvento2013bis«Gaudete in Domino» Esortazione apostolica di Sua Santità Paolo VI - Maggio 1975
«Rallegratevi sempre nel Signore» Fil 4,4-5.

 
Nella tradizione liturgica la Terza Domenica di Avvento, la Domenica Gaudete, ha un carattere gioioso: «Rallegratevi sempre nel Signore: ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino» ci fa pregare l’antifona d’ingresso, che presenta il testo della Lettera di Paolo ai Filippesi. Gioia ed esultanza per oggi e per domani. Il Signore è nel mondo, viene a partecipare alla festa. Sicuri del suo amore che fa nuove tutte le cose: di che cosa e di chi dovremmo aver paura? Anche il Vangelo, con l’annuncio della buona notizia da parte di Giovanni Battista si unisce a questa gioia. Il tema della gioia si snoda nel Salmo responsoriale, che è un canto di ovazione al Signore che viene in mezzo a noi, azione di grazie per le meraviglie, i prodigi che rinnova continuamente: « … mia forza e mio canto è il Signore; Egli è stato la mia salvezza. Cantate al Signore, perché ha fatto cose eccelse, le conosca tutta la terra …».

 
Ho scelto liberamente alcuni brani dell’esortazione apostolica «Gaudete in Domino» che sua Santità Paolo VI ha promulgato nel maggio 1975. La prima parte la mediteremo oggi, mentre ho riservato la seconda parte per domenica prossima, Quarta Domenica di Avvento.
 
«Rallegratevi nel Signore, perché egli è vicino a quanti lo invocano con cuore sincero» Cfr. Fil. 4, 4-5; Sal. 144,18.
Vi invitiamo ad implorare da Lui il dono della gioia. Noi abbiamo dunque sentito come la felice necessità interiore di indirizzarvi una Esortazione Apostolica il cui tema è la gioia cristiana, la gioia nello Spirito Santo. È una specie di inno alla gioia divina, che noi vorremmo intonare per suscitare un’eco nel mondo intero e anzitutto nella Chiesa: che la gioia sia diffusa nei cuori con l'amore di cui essa è il frutto, per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato Gal. 5,22. Non si esalterebbe come si conviene la gioia cristiana rimanendo insensibili alla testimonianza che Dio creatore rende a se stesso in seno alla sua creazione: «E Dio vide che essa era cosa buona» Gen. 1,10.12.18.21.25. 31. Facendo sorgere l'uomo entro un universo che è opera di potenza, di sapienza, di amore, Dio, prima ancora di manifestarsi personalmente mediante la rivelazione, dispone l'intelligenza e il cuore della sua creatura all'incontro con la gioia e nello stesso tempo che con la verità. Bisogna dunque essere attenti all'invocazione che sale dal cuore dell'uomo, dall'età dell'infanzia meravigliosa fino a quella della serena vecchiezza, come un presentimento del mistero divino. Affacciandosi al mondo, non prova l'uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità?
Come ognuno sa, vi sono diversi gradi in questa «felicità». La sua espressione più nobile è la gioia, o la «felicità» in senso stretto, quando l'uomo, a livello delle facoltà superiori, trova la sua soddisfazione nel possesso di un bene conosciuto e amato S. THOMAE Summa Theologiae, I-IIæ, q. 31, a. 3. Così l'uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior ragione egli conosce la gioia o la felicità quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile Ibid. II-IIæ, q. 28, aa. 1, 4. Poeti, artisti, pensatori, ma anche uomini e donne semplicemente disponibili a una certa luce interiore, hanno potuto e possono ancora, sia nel tempo prima di Cristo, sia nel nostro tempo e fra di noi, sperimentare qualcosa della gioia di Dio.  È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto. Noi abbiamo profonda compassione della pena di coloro sui quali la miseria e le sofferenze di ogni genere gettano un velo di tristezza. Noi pensiamo in particolare a quelli che si trovano senza risorse, senza soccorso, senza amicizia, che vedono annientate le loro speranze umane. Essi sono più che mai presenti alla nostra preghiera, al nostro affetto. Noi non vogliamo certo che nessuno si abbatta. Cerchiamo, al contrario, i rimedi capaci di portare la luce.
Ci sarebbe anche bisogno di un paziente sforzo di educazione per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell'esistenza e della vita; gioia dell'amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. La gioia cristiana suppone un uomo capace di gioie naturali. Molto spesso partendo da queste, il Cristo ha annunciato il Regno di Dio. Chi non ricorda la parola di Sant'Agostino: «Tu ci hai creati per Te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te?» S. AUGUSTINI Confessionum, lib. I, 1: CSEL 33, p. 1. Perciò, è col diventare presente a Dio e con lo staccarsi dal peccato che l'uomo può veramente entrare nella gioia spirituale. Senza dubbio, «la carne e il sangue» ne sono incapaci Cfr. Matth. 16, 17; 1 Cor. 15, 50. Ma la rivelazione può aprire questa prospettiva e la grazia operare questo rovesciamento. Il nostro proposito è precisamente quello di invitarvi alle sorgenti della gioia cristiana. Come lo potremmo, senza metterci tutti di fronte al piano di Dio, in ascolto della Buona Novella del suo amore? Per essenza, la gioia cristiana è partecipazione spirituale alla gioia insondabile, insieme divina e umana, che è nel cuore di Gesù Cristo glorificato.
 
Non appena Dio Padre comincia a manifestare nella storia il disegno della sua benevolenza, che aveva prestabilito in Cristo, per darvi compimento nella pienezza dei tempi Cfr. Eph. 1, 9-10, questa gioia si annuncia misteriosamente in seno al Popolo di Dio, per quanto la sua identità non sia svelata. Così Abramo, nostro Padre, scelto in vista del compimento futuro della Promessa, e sperando contro ogni speranza, riceve, fin dalla nascita del figlio Isacco, le primizie profetiche di questa gioia Cfr. Gen. 21, l-7; Rom. 4, 18. Essa si trova come trasfigurata attraverso una prova di morte, quando questo figlio unico gli è restituito vivo, prefigurazione della risurrezione di Colui che deve venire: il Figlio unico di Dio promesso al sacrificio redentore. Abramo esultò al pensiero di vedere il Giorno del Cristo, il Giorno della salvezza: egli «lo vide e se ne rallegrò» Io 8, 56. La gioia della salvezza si dilata e si comunica poi lungo il corso della storia profetica dell'antico Israele. Essa si mantiene e rinasce attraverso tragiche prove dovute alle infedeltà del popolo eletto e alle persecuzioni esterne che vorrebbero staccarlo dal suo Dio. Questa gioia, sempre minacciata e risorgente, è propria del popolo nato da Abramo. Si tratta sempre di una esperienza esaltante di liberazione, che ha per origine l'amore misericordioso di Dio verso il suo popolo prediletto, in favore del quale egli compie, per pura grazia e potenza miracolosa, le promesse dell'Alleanza. Tale è la gioia della Pasqua, che è stata realizzata da Gesù Cristo nel contesto pasquale della nuova ed eterna Alleanza. Si tratta ancora della gioia veramente attuale, cantata in varie riprese dai Salmi, quella di vivere con Dio e per Dio. Si tratta infine e soprattutto della gioia gloriosa e soprannaturale, profetizzata in favore della nuova Gerusalemme, liberata dall'esilio ed amata di un amore mistico da Dio stesso. Il senso ultimo di questo traboccare inaudito dell'amore redentore non potrà apparire che nell'ora della nuova Pasqua e del nuovo Esodo. Allora il Popolo di Dio sarà condotto, nella morte e nella risurrezione del Servo sofferente, da questo mondo al Padre, dalla Gerusalemme simbolica di quaggiù alla Gerusalemme di lassù: «Come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te» Is. 60, 15; 62, 5; cfr. Gal. 4, 27; Apoc. 21, 1-4. Queste mirabili promesse hanno sostenuto, per secoli, e in mezzo alle prove più terribili, la speranza dell'antico Israele. Ed esso le ha trasmesse alla Chiesa di Gesù Cristo, in modo che noi gli siamo debitori di alcuni dei più puri accenti del nostro canto di gioia.
 
Tuttavia, secondo la fede e l'esperienza cristiana dello Spirito, questa pace donata da Dio che si diffonde come un torrente traboccante, quando giunge il tempo della «consolazione» Cfr. Is. 40, 1; 66, 13, è unita alla venuta e alla presenza del Cristo.  
Nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore. La grande gioia annunciata dall'Angelo, nella notte di Natale, è davvero per tutto il popolo Cfr. Luc. 2, 10, per quello d'Israele che attendeva un Salvatore, come per il popolo innumerevole di tutti coloro che, nella successione dei tempi, ne accoglieranno il messaggio e si sforzeranno di viverlo. Per prima, la Vergine Maria ne aveva ricevuto l'annunzio dall'angelo Gabriele e il suo Magnificat era già l'inno di esultanza di tutti gli umili. I misteri gaudiosi ci rimettono così, ogni volta che noi recitiamo il Rosario, dinanzi all'avvenimento che è centro e culmine della storia: la venuta sulla terra dell'Emanuele, Dio con noi. Giovanni Battista, che ha la missione di additarlo all'attesa d'Israele, aveva anch'egli esultato di giubilo, alla sua presenza, nel grembo della madre Cfr. Ibid. 1, 44. Quando Gesù inizia il suo ministero, Giovanni «esulta di gioia alla voce dello sposo» Io. 3,29. 
Soffermiamoci ora a contemplare la persona di Gesù, nel corso della sua vita terrena. Nella sua umanità, egli ha fatto l'esperienza delle nostre gioie. Egli ha conosciuto, apprezzato, le gioie umane, le gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti. Egli ammira gli uccelli del cielo e i gigli dei campi. Egli richiama lo sguardo di Dio sulla creazione all'alba della storia. Egli esalta la gioia del seminatore e del mietitore, quella dell'uomo che scopre un tesoro nascosto, quella del pastore che ritrova la sua pecora o della donna che riscopre la dramma perduta, la gioia degli invitati al banchetto, la gioia delle nozze, quella del padre che accoglie il proprio figlio al ritorno da una vita di prodigo e quella della donna che ha appena dato alla luce il suo bambino. Queste gioie umane hanno tale consistenza per Gesù da essere per lui i segni delle gioie spirituali del Regno di Dio: gioia degli uomini che entrano in questo Regno, vi ritornano o vi lavorano, gioia del Padre che li accoglie. Gesù manifesta la sua soddisfazione e la sua tenerezza quando incontra fanciulli che desiderano avvicinarlo, un giovane ricco, fedele e sollecito di fare di più, amici che gli aprono la loro casa come Marta, Maria, Lazzaro. La sua felicità è vedere la Parola accolta, gli indemoniati liberati, una peccatrice o un pubblicano come Zaccheo convertirsi, una vedova sottrarre alla sua povertà per donare. Egli esulta anche quando costata che i piccoli hanno la rivelazione del Regno, che rimane nascosto ai dotti e ai sapienti Cfr. Luc. 10, 21. Sì, perché il Cristo «ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana» Prex Eucharistica, IV; cfr. Hebr. 4, 15 ha accolto e provato le gioie come un dono di Dio. E senza sosta egli «ai poveri annunziò il vangelo di salvezza, agli afflitti la gioia» Ibid.; cfr. Luc. 4, 18. Il Vangelo di Luca offre una testimonianza di questa seminagione di allegrezza. I miracoli di Gesù, le parole di perdono sono altrettanti segni della bontà divina: la folla intera esulta per tutte le meraviglie da lui compiute Cfr. Luc. 13, 17 e rende gloria a Dio. Per il cristiano, come per Gesù, si tratta di vivere, nel rendimento di grazie al Padre, le gioie umane che il Creatore gli dona. Ma qui è importante cogliere bene il segreto della gioia che dimora in Gesù, e che gli è propria. È specialmente il Vangelo di Giovanni che ne solleva il velo, affidandoci le parole intime del Figlio di Dio fatto uomo. Se Gesù irradia una tale pace, una tale sicurezza, una tale allegrezza, una tale disponibilità, è a causa dell'amore di cui egli sa di essere amato dal Padre. Fin dal suo battesimo sulle rive del Giordano, questo amore, presente fin dal primo istante della sua Incarnazione, è manifestato: «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto» Luc. 3, 22. Questa certezza è inseparabile dalla coscienza di Gesù. È una Presenza che non lascia mai solo Cfr. Io. 16,32. Ed ecco che i discepoli, e tutti coloro che credono nel Cristo, sono chiamati a partecipare a questa gioia. Gesù vuole che essi abbiano in se stessi la pienezza della sua gioia Cfr. Io. 17, 13: «E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore col quale mi hai amato sia in essi e io in loro» Io. 17,26.
Questa gioia di dimorare nell'amore di Dio incomincia fin da quaggiù. È quella del Regno di Dio. Ma essa è accordata su di una via scoscesa che richiede una totale fiducia nel Padre e nel Figlio, e una preferenza data al Regno. Il messaggio di Gesù promette innanzi tutto la gioia, questa gioia esigente; non si apre essa attraverso le beatitudini? «Beati, voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete» Luc. 6 , 20-21.  
La risurrezione di Gesù è il sigillo posto dal Padre sul valore del sacrificio del suo Figlio. D'ora innanzi, Gesù è per sempre vivente nella gloria del Padre, ed è per questo che i discepoli furono stabiliti in una gioia inestinguibile nel vedere il Signore, la sera di Pasqua. Ne deriva che, quaggiù, la gioia del Regno non può scaturire che dalla celebrazione congiunta della morte e della risurrezione del Signore. È il paradosso della condizione cristiana, che illumina quello della condizione umana: né la prova né la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma esse acquistano un significato nuovo nella certezza di partecipare alla redenzione operata dal Signore, e di condividere la sua gloria. Per questo il cristiano, sottoposto alle difficoltà dell'esistenza, non è tuttavia ridotto a cercare la sua strada come a tastoni, né a vedere nella morte la fine delle proprie speranze. Come lo annunciava il profeta: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» Is. 9, 1-2. L'Exultet pasquale canta un mistero realizzato al di là delle speranze profetiche: nell'annuncio gioioso della risurrezione, la pena stessa dell'uomo si trova trasfigurata, mentre la pienezza della gioia sgorga dalla vittoria del Crocifisso, dal suo Cuore trafitto, dal suo Corpo glorificato, e rischiara le tenebre delle anime: Et nox illuminatio mea in deliciis meis Praeconium paschale.  La gioia pasquale è quella della nuova Presenza del Cristo Risorto, che largisce ai suoi lo Spirito Santo, affinché esso rimanga con loro. In tal modo lo Spirito è donato alla Chiesa come principio inesauribile della sua gioia di sposa del Cristo glorificato. Allora noi possiamo gustare la gioia propriamente spirituale, che è un frutto dello Spirito Santo Cfr. Rom. 14, 17; Gal. 5, 22: essa consiste nel fatto che lo spirito umano trova riposo e un'intima soddisfazione nel possesso di Dio Trinità, conosciuto mediante la fede e amato con la carità che viene da lui. Una tale gioia caratterizza, a partire di qui, tutte le virtù cristiane. Le umili gioie umane, che sono nella nostra vita come i semi di una realtà più alta, vengono trasfigurate. Questa gioia quaggiù includerà sempre in qualche misura la dolorosa prova della donna nel parto, e un certo abbandono apparente, simile a quello dell'orfano: pianti e lamenti, mentre il mondo ostenterà una soddisfazione maligna. Ma la tristezza dei discepoli, che è secondo Dio e non secondo il mondo, sarà prontamente mutata in una gioia, che nessuno potrà loro togliere Cfr. Io. 16,20-22; 2 Cor. 1,4; 7,4-6.  Essa corrisponde così a ciò che è stato definito nel Vangelo come la legge della beatitudine cristiana, in continuità con la sorte dei profeti: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» Matth. 5, 11-12.

La seconda parte dell'Esortazione Apostolica viene ripresa nella Domenica successiva, 4^ di Avvento.

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