7 del Tempo Ordinario 19 Febbraio 2017

Dalla 1Lettera ai CorinzibisSiamo di Cristo, apparteniamo a lui. Dio Padre ci ha creati per Lui e in vista di Lui. Ci ha creati anche per mezzo di Lui. Ci ha fatti ad immagine della sua vita, ci ha inseriti nel mistero del suo amore. Esistiamo nella sua vita, per la sua vita. Siamo di Cristo perché Cristo ci ha redenti con il suo sangue. Il cristiano è di Cristo se vive allo stesso modo del suo Maestro e Signore. È di Cristo se gli dona tutta la vita, gliela consegna perché ne faccia uno strumento di amore, una via di verità, di salvezza, di redenzione sulla terra. . Se il cristiano è di Cristo, non può essere di nessun altro; come Cristo è di Dio e non è stato di nessun altro.
Brano di riferimento: 1Cor 3,1-23

Tutto il terzo capitolo ha come tema il ruolo del servizio nella comunità e sottolinea gli atteggiamenti fondamentali per ogni servizio nella comunità. Gli Apostoli sono operai di Dio.

Finora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo.
Di tutta la sua ricchezza spirituale poco ha potuto narrare ai Corinzi. Essi sono esseri carnali, sono ancora come neonati in Cristo Gesù. Ha parlato loro come si parla a degli esseri carnali, ma loro sono rinati in Cristo; sono frutto dell’opera dello Spirito Santo, sono ricolmi di Lui. Dopo che si nasce da acqua e da Spirito Santo nel Battesimo l’uomo carnale dovrebbe essere già morto e l’uomo spirituale dovrebbe crescere di giorno in giorno fino al raggiungimento della piena maturità in Cristo Gesù. Invece Paolo si trova dinanzi a degli uomini che sono rimasti neonati in Cristo, come se oggi fossero venuti alla fede, come se oggi avessero iniziato a vedere la luce della croce.

Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete.
Qual è il risultato dell’essere rimasti bambini nello spirito? Paolo non ha potuto dare loro un solido cibo, ha potuto nutrirli solo di latte. Il bambino, ha bisogno di un cibo da bambino. Crescendo e divenendo adulto ha bisogno di un nutrimento solido, consistente. Così avviene nella vita dello spirito. Quando si è bambini, spiritualmente parlando, servono poche cose per nutrire il nostro spirito e la nostra anima, ma poi, quando si diventa adulti, non bastano più i primi rudimenti della fede cristiana, o una conoscenza superficiale di Cristo Gesù. I Corinzi non sono capaci di un tale nutrimento, non ne erano prima, non lo sono tuttora. Manca in loro quella crescita nel mistero di Cristo Gesù che non si può compiere in un giorno, o per miracolo. Come per la vita del corpo, così è della vita dello spirito. Non si possono fare salti da un momento all’altro. Il corpo per crescere ha bisogno di tempo, lo spirito ha bisogno di tempo. Paolo vede questa situazione nella Comunità di Corinto e se ne rammarica.

Dal momento che c'è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana?
È come se Cristo fosse un estraneo per loro. Essere carnali infatti significa pensare secondo la carne, agire, progettare secondo la carne, relazionarsi agli altri secondo la carne. Quanto avviene in questa Comunità può avvenire in ogni altra comunità, se non si progredisce nella fede e se non si cammina di giorno in giorno nello Spirito del Signore. Una cosa è certa: se non si progredisce nel Vangelo, si ritorna a vivere secondo la carne. I Corinzi si lasciano dominare dall’invidia e dalla discordia. Nella Comunità di Corinto ognuno vede se stesso al centro e vuole essere lui il primo. Se qualche altro nella Comunità fa qualche cosa, ecco che subito nel cuore degli altri nasce l’invidia. Non si vuole che lui abbia quel dono, quel carisma. Lo si vorrebbe all’ultimo posto, perché al primo posto non può esserci spazio per altri, se non per se stessi. Senza lo Spirito Santo che mette in movimento la Comunità, questa non può in nessun modo pensare di poter vivere secondo le attese di Dio. Se non vive secondo le attese di Dio certamente vivrà secondo la carne. Senza lo Spirito Santo che guida, illumina, regge, e sostiene la Comunità, in essa subentra la maniera umana di pensare, di agire, di condurre l’opera di Dio.

Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini?
Uno può essere di Paolo, e un altro può anche essere di Apollo, nel senso però che ne segue la spiritualità; non in in opposizione con gli altri, ma solo come stimolo per una più proficua crescita in grazia e nella verità di Cristo Gesù. Lo Spirito Santo traccia dei cammini sui quali addentrarsi per portare il Vangelo nel mondo, e prima di tutto per viverlo nella propria vita. Questi cammini non devono mai essere visti in contrapposizione o in una maniera esclusiva, ma vie preparate dallo Spirito per manifestare la saggezza di Dio e della sua verità che può abbracciare ogni uomo e condurlo nel Regno dei Cieli. È da distruggere quell’appartenenza che è contrasto, opposizione, esclusività, separazione dagli altri, esaltazione della propria persona, negazione del diritto degli altri ad operare nell’unica vigna del Signore.

Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso.
Chi è Paolo, chi è Apollo? Sono semplici ministri, degli strumenti per portare alla fede ogni uomo. Ora lo strumento non ha autonomia propria, dipende in tutto da colui che lo manda e chi lo sorregge, chi lo guida, chi lo spinge a parlare è lo Spirito del Signore, è il Padre dei Cieli, è Cristo Gesù. Lo strumento per sua stessa natura è in tutto dipendente da Dio, è mosso da Dio, da lui guidato. I Corinzi sono stolti perché non hanno visto il Signore dietro lo strumento che Lui ha inviato per condurli a lui, nella comunione, nel sostegno reciproco degli uni verso gli altri, ma anche nel lasciarsi illuminare dallo Spirito, anziché pretendere di essere loro guida e luce per gli altri, creando quei separatismi nella comunità che tanto fanno male alla fede. Il ministro, da parte sua, si deve limitare a portare la parola e la grazia di Dio. Egli non può andare oltre. Non gli è consentito. Oltre va il Signore, il quale dona a ciascuno una misura differente di fede e di carità; questa misura viene direttamente dal Signore. Scegliere allora questo o l’altro ministro pensando che si riceva o si abbia più doni dal Signore, anche questo è stoltezza, che nasce da una virtù non conquistata e che lascia la nostra vita ancora nel mondo perché viva secondo il mondo.

Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere.
Ognuno è chiamato da Dio a svolgere un’opera nel suo Regno. Non tutti fanno tutto, ognuno fa una cosa, ma la cosa che fa ognuno, serve all’altro come fondamento. Senza l’opera dell’uno, l’opera dell’altro non si realizza, se si realizza ne nasce un’opera incompleta, non perfetta. Nella vigna del Signore, c’è chi pianta, ma anche c’è chi irriga. Se uno pianta e l’altro non irriga, il lavoro va perduto; ma se uno irriga, senza che l’altro abbia piantato, il lavoro è vano, inutile. A che serve piantare senza poi curare la pianta? A che serve irrigare un campo se non in vista della piantagione, o per aiutare la piantagione a crescere? Nella vigna del Signore ognuno deve avvalersi del lavoro degli altri, deve costruire sul lavoro altrui, nessuno potrà mai pensare di essere il solo, il primo, l’ultimo. E tuttavia la comunione con gli uomini e tra gli uomini che lavorano il campo di Dio è anch’essa inutile e infruttuosa, se non c’è la comunione dei lavoratori con Dio. È Dio infatti che fa crescere, che fa maturare frutti abbondanti; è la sua grazia che scende nel cuore, lo cambia, lo rigenera a vita nuova. Non basta allora che i lavoratori decidano di lavorare insieme, in unione di intenti. Occorre che vi sia tra di loro e con Dio una comunione di grazia e di verità, una comunione di santità, una comunione di Spirito Santo. È infatti lo Spirito Santo l’anima, la vita e il frutto di Dio nel cuore; è Lui la vitalità dello stesso seme che il seminatore del Vangelo getta nei solchi dell’anima. Se manca la comunione con Lui, tutto rimane come prima, niente si muta in un cuore, niente si schiarisce in un’anima.

Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere.
Gesù vuole che i ministri del Vangelo, rimangano sempre nell’umiltà, li vuole cooperatori, strumenti e non Signori, li vuole, non coloro che si sostituiscono a Dio e pensano che la loro opera sia sufficiente senza aver più bisogno del Signore che intervenga nella loro opera. Gesù vuole che i suoi apostoli, e quanti sono da lui mandati, abbiano fissa nel cuore una sola verità: se il Signore non dona la sua grazia, non invia il suo Spirito, non manda dal cielo la sua pioggia, la terra rimane arida, non produce. L’uomo può anche spendere tutte le sue energie, ma le spenderà invano, lavorerà per niente. L’immagine più bella che possiamo trarre dal Vangelo è il lavoro inutile di Pietro. Ha gettato le reti, ha lavorato per un’intera notte; il Signore non manda i pesci nella sua rete che rimane vuota. Il Signore gli comanda di gettare le reti per la pesca, gli dice come deve fare, gli promette che avrebbe pescato. Pietro obbedisce, getta le reti e queste si riempiono al punto di rompersi. Il lavoro di Pietro prima è stato un lavoro inutile, privo di ogni frutto. Poi diviene un lavoro carico, ricco di frutti. Perché? Senza Dio che benedice, che converte i cuori e li attrae a sé, ogni lavoratore del Vangelo sperimenterà la vanità della sua azione.

Non c'è differenza tra chi pianta e chi irrìga...
Ciò che Paolo dice è semplice in verità, solo che spesso noi lo ignoriamo. Il fine di ogni lavoro che si fa nella vigna del Signore è il frutto che Dio dovrà raccogliere. Il frutto è uno ed è la santificazione dell’anima, è il possesso del regno dei cieli per tutta l’eternità. Questo frutto nasce dalla comunione degli uomini tra di loro e con Dio. Senza Dio il frutto non matura, senza gli uomini neanche il frutto potrà maturare. Osserviamo il lavoro che si fa in un campo. Perché il seme possa produrre frutti, c’è chi semina, chi irriga, chi zappa la terra, chi la libera dalle erbacce, chi mette la siepe, chi fa un altro qualsiasi lavoro necessario al campo e al seme. Dio non paga uno di più e l’altro di meno perché il primo ha irrigato e il secondo ha piantato. Il salario è uguale per tutti. Su questo non devono mai sorgere dubbi. Bisogna che quanti hanno responsabilità nella comunità pongano ogni attenzione a che questo non si verifichi mai e che mai un cuore entri in una tentazione come questa, assai pericolosa perché capace di distruggere la comunione e l’armonia della stessa comunità. Dio vede il cuore, vede l’impegno, vede se siamo nella sua vigna e se lavoriamo con volontà e amore. Tutto vede il Signore di noi e secondo il nostro amore e il nostro impegno ci ricompenserà. Dio misura con il metro del cuore; gli uomini con quello dell’apparenza. Dio vede il cuore, non guarda l’apparenza; l’uomo guarda l’apparenza e spesso trascura il cuore.

Siamo collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio.
Chi lavora il campo del mondo è Dio. È Dio che stabilisce come, quando, dove mietere e dove piantare. Non ci sono scelte autonome, non possono essere prese decisioni che nascono dal proprio cuore e dalla propria mente. Se questo accade significa non essere collaboratori di Dio. Questo Paolo lo sa, perché tutta la sua vita è guidata dal Signore. Il Signore lo ha chiamato sulla via di Damasco e gli ha conferito il ministero. Era Lui che gli indicava la via e i campi da arare; mentre arava gli manifestava quanto tempo sarebbe dovuto rimanere in quel campo e dove si doveva recare in seguito. Dio decide, programma, ordina, il collaboratore obbedisce e realizza il comando. Occorre l’umiltà del cuore come ed è indispensabile la preghiera. Con l’umiltà l’uomo si dichiara servo del Signore per compiere la sua volontà, per andare dove Dio lo manda. Con la preghiera invochiamo lo Spirito Santo di Dio perché venga nel nostro cuore, illumini la nostra mente, la metta in comunione con Dio, con il suo pensiero, con la sua volontà, dia forza alla nostra volontà. Il Signore del campo è Dio; il Padrone dell’edificio da costruire è Dio. Chi decide è Dio, giorno per giorno, ora per ora, attimo per attimo.

Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento;
un altro poi vi costruisce sopra.
Ma ciascuno stia attento come costruisce.

Quanto Paolo ha fatto, o farà, è solo frutto della grazia di Dio. Grazia qui si intende ogni modalità concreta di vivere e di operare nel campo del Signore. Ogni opera è diversa dall’altra, ogni opera ha bisogno di una particolare grazia di Dio, fatta nella consapevolezza che è solo per l’intervento di Dio che noi possiamo compiere l’opera che Lui ci ha comandato di fare. È Lui che ci muove, ci illumina, ma anche è Lui che ci dà forza di operare in tutto secondo la volontà del Padre, rispettando modalità e tempi. Sorretto da questa grazia Paolo ha posto il fondamento su cui dovrà innalzarsi la comunità di Corinto. Questo fondamento è Gesù il Messia di Dio per la salvezza di chi crede. Egli dice di aver operato come un sapiente architetto. Dice però che lui ha posto solo il fondamento, che è Cristo. Spetta a quanti vengono dopo, a quanti si succedono nell’opera costruire sul fondamento. C’è chi pone il fondamento e c’è chi costruisce sopra; c’è chi scava in basso e chi eleva l’edificio verso il cielo. Senza questa comunione di opera e di realizzazione diviene assai difficile, se non impossibile, lavorare nella vigna del Signore. Per questo è giusto che ognuno metta ogni impegno si adoperi con tutto il cuore, ma anche con tutta l’anima a costruire l’edificio di Dio sempre e solo su Cristo, poiché è Cristo il fondamento della salvezza di ogni uomo.

Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.
Nessun edificio è di Dio se non ha come fondamento Cristo Gesù e questi Crocifisso. Su questo non potrà esserci alcuna ambiguità, alcuna disparità di veduta, alcun pensiero contrastante. Chi volesse costruire l’edificio di Dio senza il fondamento che è Cristo, lavorerebbe invano, sciuperebbe inutilmente il suo tempo, nessuna salvezza mai maturerebbe dal suo comportamento stolto ed insensato. È Cristo la pietra angolare, la testata d’angolo della casa di Dio. Porre a fondamento dell’edificio di Dio Cristo Crocifisso ha un solo significato: porre la croce come unica via di salvezza, ma anche porre il Crocifisso come l’unico esempio di obbedienza verso Dio, cui il cristiano deve sempre guardare se vuole edificare se stesso in Cristo. La sua croce è l’albero, la colonna su cui si innalza l’edificio di Dio. Il cristiano lo innalza solo divenendo crocifisso con Cristo. Quando si perde di vista Cristo, ognuno potrebbe essere tentato di farsi lui fondamento, lui principio, lui pietra angolare e testata d’angolo. Quando si arriva a questo è la distruzione dell’unico fondamento, ma anche dell’unico edificio. Quando scompare dall’edificio l’unico fondamento, scompare tutto. Muore la fede, la speranza, la carità nei cuori; muore la stessa comunità dei credenti. Ognuno percorre la sua strada e va per sentieri tortuosi che non conducono alla salvezza. Fondare un’opera sulla croce ha un solo significato: farla divenire un’opera di obbedienza a Dio, di ascolto della sua voce, un’opera che nasce dalla fede, e alla fede conduce quanti ancora non conoscono il Signore e non sono ancora stati attratti dal suo mistero di Croce e di obbedienza al Padre dei cieli. Se un’opera non nasce dalla fede, essa non è posta sul fondamento unico che è Cristo Gesù.

Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?
Prima il tempio era di pietra, una casa in mezzo alla città degli uomini. Prima c’era un solo tempio, una sola casa di Dio, come uno era il popolo del Signore. È Cristo il vero, unico, perfetto tempio di Dio. In Cristo, tempio vivente, l’uomo diviene anche lui tempio di Dio, poiché in Lui, che è corpo di Cristo, abita tutta la pienezza della divinità, poiché vi abita tutta la pienezza di Cristo. Il cristiano deve essere colui che porta nel mondo la presenza di Dio. Chi vede il cristiano deve avvertire che in Lui dimora il suo Dio.

Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
La fede vera in Cristo Gesù non regnava più nella comunità di Corinto; ognuno seguiva i propri pensieri, ognuno andava alla ricerca di una sua gloria personale, ognuno si era fatta una fede su misura. Cristo non viveva più nella comunità; la comunità aveva distrutto Cristo e si era distrutta sia come comunità cristiana, sia come comunità solo umana. Nessuno pensi di porsi contro Cristo, o di usare Cristo per suoi scopi di gloria, di esaltazione della propria persona. Se questo dovesse accadere Dio si ritira da Lui e la sua vita cade nell’oblio. Non c’è futuro né umano né cristiano per coloro che distruggono il tempio di Dio che è Cristo Gesù. Quanti hanno nella comunità la responsabilità di vigilare a che il tempio di Dio si conservi nella sua santità e nella sua verità, devono prodigarsi con ogni impegno, con energia e tanta forza da correggere ogni equivoco ed ogni ambiguità.

Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro:
Paolo ha un solo pensiero nella sua mente, una sola volontà, un solo amore, un solo desiderio: Cristo Gesù. Nient’altro esiste per lui se non Cristo; per lui la vita è Cristo ed anche la morte; è il presente e anche il futuro. Tutto è Cristo per Paolo. Tutto è vostro diviene una forma nuova di pensare, di relazionarsi, di vedere, di operare. Il cristiano ormai deve mettere questo pensiero, o questa verità a fondamento del suo stesso vivere su questa terra.

Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!
Tutto deve essere ricondotto alla sua verità, alla sua essenza: esistiamo per andare incontro al Signore, viviamo per amare Lui, moriamo per lodare e benedire Lui, siamo nel presente, progrediamo verso il futuro perché possiamo crescere ed abbondare sempre di più nel suo amore e nella sua verità. Per fare questo occorre che il nostro amore per Cristo Gesù sia in tutto simile a quello di Paolo che diceva: “Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno”. È il guadagno di chi ha trovato il tesoro nascosto e vende ogni cosa, anche se stesso, per poterlo possedere per tutta l’eternità.

Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
È, questa, l’unica conclusione possibile a questa parte della Lettera. Siamo di Cristo, apparteniamo a lui. Dio Padre ci ha creati per Lui e in vista di Lui. Ci ha creati anche per mezzo di Lui. Ci ha fatti ad immagine della sua vita, ci ha inseriti nel mistero del suo amore. Come Cristo è la vita del Padre, ma anche l’amore del Padre, così l’uomo è la vita di Cristo sulla terra, ma anche il dono della sua vita. Esistiamo nella sua vita, per la sua vita. Siamo di Cristo perché Cristo ci ha redenti con il suo sangue, ci ha riscattati con la sua passione e morte; siamo di Cristo perché il Signore ci ha affidati alla sua vita. Se siamo di Cristo, dobbiamo esserlo alla stessa maniera in cui Cristo è di Dio. Cristo è di Dio perché è da lui, è dalla sua vita. Cristo Gesù è luce da luce, Dio vero da Dio vero, è il suo Figlio unigenito, generato da Lui prima di tutti i secoli. Cristo è colui che vive per lodare, benedire, ringraziare, amare il Padre che lo ha generato nell’eternità, ma anche che lo ha costituito fonte di vita, principio di santificazione per ogni uomo. Cristo ama e benedice il Padre perché non c’era modo più grande di amarlo se non attraverso il sacrificio della croce. E lui ha dimostrato il suo amore per il Padre in questo sacrificio e compiendo in tutto, ma proprio in tutto, la volontà divina. Il cristiano è di Cristo se vive allo stesso modo del suo Maestro e Signore. È di Cristo se gli dona tutta la vita, gliela consegna perché ne faccia uno strumento di amore, una via di verità, di salvezza, di redenzione sulla terra. Il cristiano è di Cristo se come Cristo si annienta perché attraverso di lui solo la volontà di Dio si compia, sapendo che solo in questo compimento è la vita eterna per lui e per l’intero genere umano. Se il cristiano è di Cristo, non può essere di nessun altro; come Cristo è di Dio e non è stato di nessun altro.

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